Il Centro di ricerca Pens - Poesia contemporanea e Nuove Scritture è un progetto ideato e sviluppato da studenti, ricercatori indipendenti e docenti dell’Università del Salento. Il Centro, istituito nel 2016 presso il Dipartimento di Studi Umanistici, ha avviato una serie di attività che comprendono: i "Quaderni del Pens", collana open access di studi letterari pubblicata in collaborazione con ESE- Salento University Publishing; una raccolta di interventi, articoli e recensioni pubblicati sul sito del Centro; iniziative per la promozione e la diffusione della lettura (seminari, workshop, incontri con gli autori).
Quaderni del PENS
I Quaderni del Pens si presentano come una “officina”, uno spazio o un contenitore nel quale si raccolgono i risultati del lavoro critico svolto ogni anno dal Centro di ricerca. In particolare, la collana open access pubblica i contributi degli Atti dei seminari, dei Convegni e delle Giornate di studio promossi annualmente dal Centro; ricerche su materiale inedito, carte d’autore e scritti dispersi provenienti dagli Archivi letterari e dai Fondi di autori del Novecento; una selezione (peer review) di saggi e contributi vari. La collana è pubblicata da ESE Salento University Publishing.
-
CFP «Quaderni del PENS» vol. 8 (2025) - Questione meridionale e transmedialità
Il numero 8 (2025) della collana “Quaderni del PENS” - Centro di ricerca Poesia contemporanea e Nuove scritture si propone di intercettare due indirizzi di ricerca quanto mai fecondi negli ultimi anni: i nuovi studi sulla “questione meridionale” e le ricerche sulla transmedialità. La questione meridionale si pone come un problema di immaginario: è necessario storicizzare, in un’ottica costruttivista, un insieme di percezioni, vecchi e nuovi stereotipi, presupposti e schemi di rappresentazione legati all’immagine del Mezzogiorno, anche nei suoi rapporti col Nord Italia e con l’estero. La transmedialità, intesa al tempo stesso come pratica di creazione-riscrittura e come approccio critico…
-
Quaderni del PENS, 7, 2024. Testi trasparenti. Metodi e prospettive della nuova narratologia
È online il settimo numero dei «Quaderni del PENS», disponibile a questo link. L'avvio nel 2020 del Seminario permanente di narratologia, ideato da Paolo Giovannetti e Giovanni Maffei, insieme all'imminente pubblicazione della traduzione italiana del saggio fondativo di Dorrit Cohn, Transparent Minds (1978), rappresentano i segnali di una fase di passaggio nel campo della narratologia che merita di essere seguita con attenzione. Se da un lato la teoria francese classica sembra resistere nel settore degli studi narratologici, soprattutto per quanto riguarda certa Accademia e l’insegnamento universitario di questa disciplina, dall’altro sono in atto numerosi sforzi teorici ed editoriali tesi ad…
-
Quaderni del PENS, 6, 2023. L'esercizio dello sguardo. Poesia e immagini
È online il sesto numero dei «Quaderni del PENS», disponibile a questo link. Dopo la Premessa di Fabio Moliterni, i due saggi che aprono il fascicolo, di Francesco Muzzioli e Andrea Inglese, permettono di fissare provvisoriamente le coordinate teoriche e storico-letterarie del dialogo (o del conflitto) tra poesia e immagini nella modernità e nel sistema culturale contemporaneo. Seguono alcuni contributi sull’immagine (pittorica, fotografica e non solo) come “agente” o “innesco” poetico; sull’intreccio interartistico che si determina in un discorso “fuori formato” che punta non più, o non soltanto, alla demistificazione, alla parodia o al riuso citazionistico e straniante dei linguaggi…
Continua a leggere
Ormai da tempo, la scrittura di Giovenale è testimonianza in atto di una ricerca progettuale, laboriosissima, che investe il fare poetico nella convergenza di plurimi riferimenti culturali e apporti teoretici. Sono i necessari approfondimenti per testare la tenuta e le possibilità sociali del linguaggio lirico all’altezza del presente. Laddove la pratica di nuove strade di comunicazione (la rete come archivio aperto, deposito di tracce ragionative, vetrina di scambi intellettuali) non è disgiunta da un (invisibile e) tenace lavoro di ricerca, anche interdisciplinare – tra saggistica e fotografia, arti figurative e traduzioni, poesia prosa e arte contemporanea: prevalentemente in dialogo con esperienze o tradizioni estranee alle codificazioni di esclusivo ambito nazionale. Il percorso di scrittura, a sua volta, viene restituito provvisoriamente per schegge o frammenti, mentre prova e riprova la propria affidabilità di fronte agli incerti della verifica in versi, i possibili innesti culturali, l’urto con gli eventi del vissuto.
Con l’arrivo del Sessantotto e la nascita di un movimento che reciterà un ruolo non secondario nella società italiana almeno fino alla fine degli anni Settanta, Roversi espliciterà la sua vicinanza ai gruppi studenteschi e giovanili per i quali diventerà un punto di riferimento culturale.
La sua fu un’adesione non superficiale, ma interna. Tuttavia, non totale. Come nota giustamente Moliterni nel suo lavoro, Roversi fu sempre esplicitamente critico rispetto ad uno dei nodi del movimento, l’utilizzo della violenza come strumento di lotta politica:
Non credo più all’efficacia politica della violenza […]; non perché la violenza per sé sia priva di efficacia, ma perché a me pare che essa, oggi, sia codificata dal sistema, che il sistema sia sempre (e sappia essere sempre) più violento dei suoi contestatori: insomma che la violenza sia un modo tradizionale di aggressione della realtà…
Molti della mia generazione ne hanno sentito parlare, di Roversi. Eppure quasi nessuno l’ha letto. Quando mi è capitato di seguire un corso su di lui all’Università del Salento, ho capito che era arrivata l’occasione di rimediare. Non sapevo ancora che sarei finito inchiodato.
Roberto Roversi nasce cento anni fa, nel 1923. A Bologna. Al liceo frequenta Pasolini e Leonetti. A vent’anni diserta dall’esercito fascista e si unisce alla lotta partigiana. Rientrato a Bologna fonda una libreria antiquaria e con i compagni di liceo, nel 1955, inizia l’avventura di “Officina”, una rivista che cerca – superato l’estremo spartiacque della guerra – di fare i conti con il Novecento, e che segna il rifiuto dell’ermetismo e del neorealismo, accusato di essere sempre più attestato su posizioni retoriche intorno alla questione dell’impegno e della militanza. Mentre Pasolini diventa una star, anche grazie al cinema, Roversi scrive poesie e interventi critici nei quali avvia le basi della sua riflessione e del suo percorso intellettuale.
Accade, a volte, di imbattersi inaspettatamente nel proprio riflesso, di registrare con la coda dell’occhio un’ombra del tutto uguale, per aspetto e movenze, al ricordo che abbiamo di noi, un’ombra talmente ridotta alla sua dimensione di oggetto da rendere impossibile il riconoscimento. Tale impressione non dura più di qualche istante e, attribuendo significato all’immagine, il soggetto da frammentario torna unitario: «a partire dallo specchio scopro di essere assente dal posto in cui sono, poiché è là che mi vedo. A partire da questo sguardo che, in qualche modo, si posa su di me […] ritorno verso di me e ricomincio […] a ricostituirmi là dove sono»[1]. Queste parole, usate da Foucault per spiegare il concetto di eterotopia, sembrano riassumere il nucleo fondante dell’ultima raccolta di Andrea Donaera, Le estreme conseguenze (Le Lettere, 2023), in cui solo lo spostamento di sguardo derivato dall'osservare il proprio sé riflesso riesce a mitigare l’ingerenza di un soggetto che diventa il protagonista assoluto della scena.
Come accade nelle migliori esperienze letterarie, anche la poesia di Nino De Vita si fonda su una dialettica paradossale e irrisolta che è capace di far convivere gli opposti e i contrari, una tensione senza scioglimento che coinvolge la forma del contenuto, le strutture testuali e il repertorio dei temi da sempre al centro della sua opera in versi. Alcuni suoi testi sono ora leggibili in un’antologia d’autore che inaugura la collana novecento/duemila diretta per Le Lettere da Diego Bertelli e Raoul Bruni (Il bianco della luna. Antologia personale 1984-2019, 2020, pp. 240): abbiamo la possibilità di ripercorrere un itinerario che parte dagli esordi in lingua di Fosse chiti (1984) e approda alle raccolte scritte in dialetto pubblicate negli anni Duemila (da Cutusìu, del 2001, a Nnòmura, del 2005) fino al recente Tiatru (2019), con l’aggiunta di versi inediti che provengono dal libro al quale sta lavorando il poeta di Marsala, Tuttu ‘u munnu si rruri.
L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia è l’ultimo libro di Mariangela Gualtieri, pubblicato nel 2022 per la collana Gli Struzzi di Einaudi. Chiamata a dare una spiegazione del titolo in occasione di un incontro presso l’Università del Salento, l’autrice afferma che l’incanto fonico consiste in quella particolare atmosfera generata dalla lettura a voce alta delle poesie. È proprio la riflessione attorno alle modalità di esecuzione della parola poetica a formare il nucleo stesso di questo nuovo libro che si configura come un tentativo di «liberare nell'aria il verso». Tentativo che si carica di una valenza etica in quanto, «ora che la lingua viene così mortificata, e le nostre vite sembrano sempre più ingabbiate, la poesia è senza dubbio la rivolta più alta, la migliore alleata, e ha bisogno di tutte le sue potenzialità».
Nel mese di maggio 2022, presso le sedi dell'Università del Salento, si svolgeranno tre giornate seminariali dedicate alla poesia contemporanea.
La prima giornata (2 maggio nell’aula E5-6 dell’edificio Codacci Pisanelli) prevede l’intervento di Andrea Inglese dal titolo Critica del paradigma lirico e sperimentazioni con la prosa.
La seconda giornata (12 maggio presso l’aula 2/B1 edificio 6 del complesso Studium 2000) prevede l'intervento di Claudia Crocco dal titolo Le poesie italiane di questi anni.
L’ultima giornata (27 maggio presso l'aula 2/B1 edificio 6 del complesso Studium 2000) prevede l'intervento di Nino De Vita dal titolo "E taliava, taliava...". La poesia in dialetto.