Le tre resurrezioni di Sisifo Re è l’ultima opera di Cosimo Argentina, pubblicata per i tipi di Meridiano Zero, ed è un libro sul quale si dovrebbe dire molto. Se è vero che un libro non va mai giudicato dalla copertina, è vero anche che questo incalzante, nevrotico e nervoso romanzo dice molto di sé proprio a partire dal paratesto. Il titolo scritto con caratteri spessi, marcati, il fondo immacolato, il viso dipinto di Joker (non un Joker qualsiasi ma il Joker di Heath Ledger, definito dall’autore «il miglior Joker» della storia cinematografica): insomma, chi conosceva Cosimo Argentina ha fatto fatica a riconoscerlo in quest’ultima, delirante opera e, al tempo stesso, lo ritrova, intatto, fra le righe che compongono le 218 fittissime pagine della sua ultima creatura.
Sembra che lo scrittore della città dei due mari stia affrontando una delicata fase di passaggio in cui nulla viene eliminato della sua precedente scrittura, ma tutto viene messo in discussione. Innanzitutto, è già difficile attribuire una definizione di genere al romanzo, all’interno del quale s’intrecciano fantascienza, noir, distopia e thriller psicologico. Inoltre, la struttura canonica del romanzo è stravolta e il narratore in prima persona viene in parte sacrificato per lasciar posto a una vivace e sottile plurivocità . Ognuno di questi elementi rappresenta un’anomalia nella scrittura di Argentina, il quale però ha saputo reggere egregiamente le redini di una trama articolata e bipartita, centrifuga: in effetti, le storie che l’autore tarantino scrive sono almeno due, fra loro speculari. Per la prima volta, l’ambientazione non è reale – il gusto del scoprire il perché lo si lascia al lettore – e i personaggi non hanno nulla a che vedere con i tipi che popolano le sue opere precedenti, Cosmo, Maresca o Dà nilo; ciò nonostante dialogano con loro e creano inossidabili punti di contatto e di continuità . In diverse interviste, lo scrittore ha dichiarato di aver abbozzato la stesura de Le tre resurrezioni di Sisifo Re nel 2008, quasi dieci anni fa; da allora è tornato spesso sul progetto, ritoccandolo, modificandolo, modellandolo sino a pochi giorni dalla messa in stampa. Se dieci anni ci sono voluti, ben venga, perché l’ultimo romanzo di Argentina rischia di rivelarsi una non piccola sorpresa letteraria.
Nel romanzo veniamo a contatto con due realtà parallele. Una di queste ha, come sfondo, una Puglia devastata e distopica chiamata Apuleia, una megalopoli che è «un’enorme striscia di terra una volta considerata una regione». I quartieri sono decadenti, marcescenti e portano i nomi storpiati e ridicolizzati delle città e dei paesi pugliesi. Ad Apuleia vive – o meglio, non vive – Sisifo Re, patetico investigatore privato truccato da Joker, «narcofobico», febbricitante e depresso. Sisifo è l’esatto contrario del canonico investigatore: non ha fermezza, è sprovvisto di lucidità mentale e, nonostante sia dotato di una qualche forma di intuizione profonda, è sostanzialmente incapace di comunicare se non con frasi sconnesse, casuali, mai concluse, apparentemente prive di logica e pescate a piene mani dalla tradizione letteraria più colta. Eppure, come ogni investigatore che si rispetti, Sisifo viaggia sempre insieme con un burbero, indelicato e rozzo Watson irlandese, Oscar Orano (detto Oh-Oh), personaggio-chiave dal momento che costituisce l’anello di congiunzione tra le due dimensioni spazio-temporali del romanzo. Infatti, man mano che si scivola nella lettura, sorge il dubbio che il protagonista del libro, malgrado il titolo, sia Oh-Oh, un ex avvocato irlandese radiato dalla società e dall’albo, il quale vive per servire Sisifo e per ritrovare la giovane moglie Dori, misteriosa figura femminile che aleggia per tutto il racconto come un fantasma.
Dunque, Sisifo e Oh-Oh sono personaggi fuori dal normale (ammesso che possa esserci qualcosa di normale, ad Apuleia), al limite dell’assurdo. Ancor più assurdo è il fatto che i due, assunti dalla femme-fatale Selina Corbeves, decidano di indagare su un omicidio non ancora compiuto mentre ad Apuleia si combatte una feroce guerra civile, dominata da Signori della Guerra privi di scrupoli e da aberrazioni umanoidi che di umano non hanno più nulla (qui gli omaggi ai libri di Philip K. Dick sono evidenti). Sospendendo il patto di incredulità , Argentina trascina il lettore in un tortuoso intreccio cyberpunk al centro del quale c’è un’indagine destinata a fallire in partenza, poiché cercare un assassino ad Apuleia «è come cercare un certo grano di polvere da sparo in una polveriera». Seppur consapevoli di questo, Sisifo Re e Oh-Oh accettano l’ingaggio e compiono numerosi viaggi tra il T. Gulf e Lesina Lake, passando per le Murgia Hills e Grecìa Boulevard, alla disperata ricerca di un uomo che riusciranno a trovare solo quando ormai sarà troppo tardi, quando la scia di sangue è già stata tracciata e non ha più importanza scovare l’assassino perché Apuleia, la vera, grande vittima di un crescendo sempre più cruento di barbarie, sta per essere distrutta: «Sisifo… pensa a Sisifo. Ironia della sorte! Deve cercare il responsabile di un omicidio non ancora compiuto quando in città si è scatenato l’inferno e la morte danza potente, suprema e inarrestabile sopra i corpi di tutti noi a cominciare da questa povera sventurata».
Come disturbanti pianeti satelliti, attorno a Sisifo Re e Oh-Oh orbitano le vite degradate di Wolfango Tho, sicario dalla dubbia identità sessuale; di Dedalo e Ninochka, sposi dannati e tossicodipendenti; di Crick Saini e Nubia Woland, gestori del «più grande impero di sesso e morte» mai costruito ad Apuleia; di Guglielmo Federico Zoro e del gobbo Roald, rispettivamente mentore oscuro e invidioso rivale di Sisifo; di Egisto Crovo, la prima vittima di un serial killer assetato di vendetta e disposto a fare qualunque cosa «per amore». L’indagine compiuta dai due investigatori sembra essere un metaforico viaggio nel profondo delle miserie umane, alla ricerca di una salvezza o purezza che non può esistere per nessuno, neanche per il bambino orfano e muto adottato da Sisifo e ucciso a poche pagine dalla fine, a pochi metri dall’ultimo porto sicuro. Con la morte del bambino senza nome muore anche la speranza in un lieto fine, seppur relativo: il bambino è simbolo di innocenza, è una promessa stroncata perché ad Apuleia nessuno è salvo e nessuno può sperare in una redenzione. Non esiste giustizia così come non esiste Dio, e i conti sono regolati dalla legge del più forte: compresa la natura della megalopoli, è comprensibile che i personaggi si spoglino delle loro umane vesti per indossare quelle del cacciatore insaziabile.
Quando il viaggio o la realtà diventano insopportabili, Oh-Oh fugge in un mondo parallelo che appartiene solo a lui: aziona due terminali ricettivi biocompatibili che gli sono stati impiantati nel cervello e scivola nella nuova dimensione. Oh-Oh è l’unico tramite tra Apuleia e il T. Gulf, luogo in cui è ambientata la seconda linea temporale del romanzo. Mentre ad Apuleia non era che un quartiere, in questa dimensione il T. Gulf assume le sembianze di una vera e propria città , inequivocabilmente riconducibile a Taranto, città natale dello scrittore, sempre presente nelle sue opere. Anche in questo caso, la città dei due mari è descritta così dettagliatamente da assumere forma e concretezza persino tra le pagine visionarie di Sisifo. Non si tratta, però, della Taranto de L’umano sistema fognario o di Maschio adulto solitario, cioè simbioticamente legata agli inetti che la popolano, ma è pur sempre reale. Il T. Gulf sembra una città fantasma, corrotta nel profondo da quel «cuore nero» di cui ha parlato l’autore in un’intervista. Il T. Gulf non è immerso nella nube distopica e futuristica che avvolge Apuleia, eppure, in qualche modo, la anticipa. Tra le strade deserte e dalla toponomastica stravolta si consumano, uno dopo l’altro, una serie di omicidi perpetuati ai danni di giovani prostitute. Ovviamente, non si tratta dello stesso assassino che opera ad Apuleia. I due però sono mossi dallo stesso movente, ovverosia l’amore, un amore distorto e violento che non genera nulla ma al contrario distrugge; un amore per il quale entrambi farebbero qualunque cosa.
I personaggi che operano e si muovono nel T. Gulf sono gli stessi che si incontrano, man mano, ad Apuleia. Come se fossimo in uno specchio distorto, però, ognuno di loro vede il proprio ruolo e la propria psiche stravolti: non volendo privare il lettore del piacere di scoprire i vincoli che legano fra loro i mondi e i personaggi, ci limiteremo a dire, a titolo d’esempio, che Sisifo Re sveste i panni di patetico clown sconclusionato per vestire quelli di un affascinante, brillante e silenzioso tenente della Omicidi, che tutto sembra fuorché folle e ridicolo. Al contrario di quanto accade nella prima dimensione, dove regna imperante una marcata plurivocità , nel T. Gulf nessuno dei personaggi si esprime in prima persona: l’unica, solitaria voce narrante è quella di Oh-Oh, sergente della Buoncostume (passerà poi alla Omicidi) corrotto, violento, irascibile. Oh-Oh non nasconde l’astio e il rancore che prova nei confronti della realtà circostante e della società dalla quale è stato, ancora una volta, rigettato. Nutre però profondo rispetto e ammirazione nei confronti di Sisifo: il rapporto tra i due non è di reciproco supporto, anzi. Sisifo osserva Oh-Oh come se quest’ultimo fosse una curiosa bestia, forse pericolosa; Oh-Oh anela l’approvazione di Sisifo come se lui e lui solo potesse restituirgli la dignità che chiunque altro gli nega. Accade, quindi, l’esatto contrario di quel che Sisifo e Oh-Oh vivono ad Apuleia, dove l’investigatore che spinge pietre sarebbe perduto senza l’irlandese di Cork. Se nella megalopoli i due riuscivano a mantenere una parvenza di comunicazione, seppur delirante, nel T. Gulf le stesse possibilità di un dialogo sono annientate, come pure i punti di contatto sia fisici che emotivi fra i due: è sempre Oh-Oh a cercare lo sguardo del tenente, a tentare l’approccio verbale, a richiedere attenzione. Sisifo Re è algido, impassibile, lascia intendere di sapere già tutto. In un perverso gioco di specchi, ogni relazione è ribaltata e riflette la propria gemella, eppure qualcosa di immutato c’è ed è l’ossessione che spinge Oh-Oh a cercare Dori. Il fantasma della moglie scomparsa viaggia da Apuleia al T. Gulf per concretizzarsi in un’amara illusione. Dori non c’è, eppure Oh-Oh non smette di cercarla e la trova in una sprovveduta e ignara Ninochka: riprendendo un fortunato leitmotiv cinematografico (Lynch, con i suoi Lost Highway e Mulholland Drive e il duplice ruolo affidato a Sheryl Lee in Twin Peaks, e prima ancora Hitchcock con La donna che visse due volte), Argentina aggiunge la psicologia a un banchetto già ricco (ma non opulento) e fa sì che, nella mente di Oh-Oh, le due donne si confondano tra loro. Man mano che si prosegue nella lettura, si confondono i ruoli e le psicosi dei personaggi e si confondono anche le due dimensioni, la cui alternanza si fa sempre più serrata e frequente e si arriva, in un lampo, alla fine del romanzo, dove le ultime pagine lasciano col fiato sospeso e puntano all’epilogo, risolutivo, non banale, straziante.
Le tre resurrezioni di Sisifo Re è un romanzo che lascia perplessi, non si presta ad essere compreso del tutto fino a quando non si arriva all’ultima pagina: giunti sin lì si ha l’impressione di trovare il pezzo mancante del puzzle, quello che impediva di mettere a fuoco il disegno di fondo. Ritrovato il pezzo, tutti gli altri si rinsaldano fra loro e quello che emerge è un curioso ibrido tra romanzo di fantascienza e thriller psicologico, un libro che stupisce e non sazia. Sisifo merita una seconda lettura, così che tutti gli elementi simbolici sapientemente disseminati dall’autore (ri)acquistino un senso: dalle molteplici citazioni classiche («È lei il signor Sisifo Re, agente investigativo che spinge pietre?», riferimento al noto mito greco poi ripreso da Camus; o ancora «Cantami o Diva… Arma virumque!», che è quel che Sisifo urla spesso, senza che ci siano ragioni per farlo) ai più recenti rimandi pop (la già citata maschera di Joker, Blade Runner - «So cose che voi umani…» - e il Corvo di Brandon Lee, per il quale «Non può piovere per sempre»); e ancora le citazioni bibliche e quelle profane (vari i riferimenti ai Vangeli, «Le colpe dei padri ricadranno sui figli», e l’inno del Liverpool, You’ll never walk alone). Se volessimo descrivere Le tre resurrezioni di Sisifo Re in poche parole, diremmo che è l’Uroboro che Ninochka indossa a mo’ di ciondolo: un contorto serpente che si morde la coda, simbolo di infinito, specularità , di unione e individualità , di potere, di inizio e fine, in perpetuum.